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OperaMondo - Il racconto

Page history last edited by PBworks 17 years ago

Opera! Hai detto Opera?

L'espressione divenne radiosa. Mi venne di fronte e cercò nei miei occhi una conferma. Non lo avevo mai visto così euforico. Dov'era adesso il suo aspetto austero? Quellla ruvidezza che da bambina avevo temuto, da adolescente avevo odiato, da adulta avevo-talvolta-finto di ignorare, ora sembrava scomparsa fra le rughe del suo viso ancora bello, come lo ricordo quando rientrava a casa-non sempre, non spesso-e mi portava in gelateria.

Le sue mani afferrarono le mie con una tenerezza che non ricordavo. Le tenne strette. Sentivo le sue caldissime, morbide, affusolate dall'età. Non capivo perché, ma lo amavo.

Sì papà, ho detto Opera. Ci andiamo, se ti va.

Certo, ma prima passiamo in gelateria. Lo desidero più di ogni altra cosa al mondo. (Assu www.cassettoideelibere.blogspot.com/ )

 

opera. ho sempre amato l'opera. è melodramma, suoni, colori, vestiti sgargianti. opera è un palco con le poltroncine di velluto, opera è vanità. opera è un loggione, lassù, opera è passione. opera è il foyer pieno di gente. opera è gioielli e sfarzo. opera è mimì, è turandot, è aida, è lucia, è tosca. "potenza della lirica dove ogni dramma è un falso che con un po' di trucco e con la mimica puoi diventare un altro(...)". opera è la loro vita. opera è tutto il loro mondo. (laPitta)

 

Opera miracoli viaggiando a bordo di una 128 sport, blu scuro. Che nella nebbia nemmeno la vedi bene, che nella nebbia bastano pochi metri a far iniziare e finire tutto il tuo Mondo (Matteo)

"Opera" e ti vien fatto di pensare al 'fantasma dell'opera' - che poi chissà perché, ché né conosci la storia né hai mai visto il musical. E nella nebbia che avvolge l'auto e te lasci andare la musica (saudade do Brasil), che operi su te all'opera al volante la sua magia calmante. E chiusa in questa trappola su ruote sommersa nella nebbia e nella musica ti pare di non esser neanche al mondo. (Francesca)

Opera del dolore come della felicità, della saggezza o dell’ignoranza, del pericolo come di un agire cauto e timoroso, il Tempo sgretola il granito di quest’arido colle che mi nasconde il giorno. Dietro le sue fauci spalancate, impalpabile, una polvere di inutili ricordi a ricoprire il diafano viso del mondo. (Epimenide)

 

Opera nel totale silenzio, un pescatore sull'argine del fiume; e stramaledice la marmitta della 128 sport, che buca la nebbia delle sei del mattino. Sull'auto, nel sedile del passeggero, sta la custodia nera di una "Excelsior Cemex" da combattimento, una fisarmonica. Ha suonato tutta la notte, dentro al dancing-palafitta lì sul fiume, sotto le mani di Faustino, che ora guida la sua 128 blu e pensa ancora alla musica e al tempo della sua vita. Dentro la custodia della fisarmonica sta custodito un Mondo (Matteo)

 

Opera d'arte, si può definire quella centoventotto che, a più di trent'anni dal debutto, ancora monta i freni originali - dice il pilota "sono convinto ch'abbia un avvenire anche se, quando guido, sento in sottofondo lo strepitio delle molle coassiali - hai voglia a dire..pure se è vecchia, tanto non la butto, cascasse il Mondo!" (gabryella)

 

Opera e fai qualcosa che si solidifica su una buccia, mi disse. Quando pensi di scendere verso l'essenza devi immaginare che ogni vicissitudine, ogni viaggio si consuma sempre sulla superficie. La cosiddetta discesa verso l'interiorità non è altro che un accrescimento di grammatica che si scioglie in estensione, raduna nuovi potenziali e dà loro un esito concreto; opera di dita che dissodano sostanza e sogni, si direbbe, tale è la loro presa costante; di occhi, orecchie e bocche che traducono senza potersi fermare. Provai a obiettare che non ero d'accordo, lui seguitò: Per quanto pensi d'essere al sicuro, vacilli sempre sul confine; ciò che sta appena dopo, in entrambe le direzioni, è ciò che potresti essere e compiere in qualsiasi momento: in quanto tale, sei il punto di frizione del mondo. (Mauro)

 

“Opera” fu la prima parola che disse, al suo medico e amico, quando gli riferì il risultato degli esami. Qualsiasi cosa era meglio dell’inazione, di stare lì ad aspettare il corso degli eventi. Voleva solo avere tempo, il tempo di mettere le cose a posto, di predisporre tutto per il meglio. Ora che si trovava avvolto dalla nebbia, tutto però gli sembrava meno chiaro. Non era più certo che quella fosse la giusta soluzione, o che lasciarsi andare e sparire fosse davvero un male. Guardava la nebbia, fuori dal finestrino, per cercarvi una luce e trarre da essa una direzione, ma era come se, con la nebbia, tutti i punti fermi della sua vita fossero fuori dalla sua portata. Tutto era sfocato: il futuro, il passato, perfino i confini di quello che, fino ad allora, era stato il suo mondo. (riccionascosto)

 

Opera. Era il suo modo di dirti che eri un fesso a star lì a sognare. Non era un'esclamazione, non si capiva cosa fosse, ma sembrava più una nota malinconica - come se sapesse che non ne avremmo fatto nulla. Ma quando si mise a parlare di punto di frizione a me venne in mente la frizione della macchina, quel catorcio blu scuro che smarmittava all'alba su e giù per le colline. Era un artista mio zio, grande e grosso e così versatile, dispersivo, stavolta suonava la fisarmonica e componeva melodie per le sagre di paese. Saghe per sagre, questo gioco di parole mi venne in mente una mattina che andammo a pescare carpe in un laghetto a una decina di chilometri da casa. Scendemmo sul greto e uno, che lo conosceva, gli disse "e perdio riparala 'sta macchina no?", e mio zio alzò le spalle, "mica è mia". Era vero, quella 128 sembrava a disposizione di tutti. Iniziammo a pescare e quel fiume diventava il nostro mondo. (Mauro)

 

Opera da tre soldi;tutte le opere di B.Brecht a prezzo stracciato; i volumi stavano per terra ,fradici di quell'acqua ,che il fiume aveva portato nelle strade,in una giornata da fine del mondo..(aurora)

 

"O per A", coninuò. "Potrebbe anche iniziare per A, il nuovo alfabeto".

"Nuovo, insomma, non mi pare"

"Fidati, non sarebbe la stessa A. Occorre rifondare tutto, ricreare ogni cosa con un linguaggio nuovo, che se anche assomiglierà a quello precedente, ne sarà diseguale"

"Ma perché, non ne capsco l'esigenza, Ja'"

"Sai che pretendo di essere chiamato con il mio nome per esteso"

"D'accordo, scusa, Jahvé. Ma a cosa servirà il nuovo alfabeto?"

"E' semplice: cancello tutto, e riscrivo da capo il Mondo" (herzog.splinder.com/)

 

Opera da tr. s...". Poi approdò quel libro tutto rotto sulla riva; mio zio lo prese con cura e disse guardandolo gocciolare "guarda te che ironia, un'opera da tre soldi a prezzi stracciati che fanno, ti pagano per averla? ah ah, e poi va a finire in un fiumiciattolo da tre soldi tutta stracciata". Non apprezzai molto il suo spirito; le spalle mi facevano male a stare fermo, avevo bisogno di muovermi. Il nostro vicino prese a dire cose strane - rifondare il mondo con un nuovo alfabeto - perché era ebreo e paziente ma erano sei giorni che non prendeva un pesce; io lo capivo, ma mi sembrarono comunque cose dell'altro mondo. (Mauro)

 

Opera buffa o melodrammone? "Solo il nipote capisce lo zio, e non c'è bisogno di dirtelo....". No, opere non mi ha mai portato ad ascoltarne, mio zio Faustino. Solo dancing, balere, sale da mazurka. Cose così. Ci sono cresciuto dentro a posti così. Che uno zio è più di un fratello maggiore, e per molti anni attraverso i suoi occhi, o i vetri della sua macchina, o i tasti della sua fisarmonica, posso dire di avere davvero imparato a capire il Mondo. (Matteo)

 

Opera..Di certo Parigi era un sogno.

 

Ne aveva letto sui giornali, immaginando la magica atmosfera del palco, tu e la gente tutta a guardarti, non come il fiume,

silenzioso, che scorre con ritmico suono.

Un pubblico: i mormorii, i sussurri, gli applausi i fischi; lo si sente respirare, unico organismo, segue la tua musica, sospesa tra i fiati.

Ci sei tu ed i tuoi tasti, che quasi non ricordi nemmeno più cosa stai facendo, immerso così tra la gente.

Te ne stai lì, su quel palco e tutto diventa solenne, e tutti da te aspettano il meglio, non come in una balera,

dove lì son distratti, hanno altro a cui pensare, non alla musica.

Sono persone, lì a Parigi, tutte di un altro mondo. (Lizaveta)

 

Opera come se i pesci fossero un'orchestra, tu devi dirigere la canna come una bacchetta, metterli in riga, ordinarli, all'unisono. Che abbocchino con costanza. Questo mi diceva zio Faustino, che era un artista (questo ormai già lo sapete). Lui dipingeva anche, e cantava con voce da baritono - capirai, era grosso come un armadio; e non so se a delinearne la spazialità del corpo, la voce, i gesti, gli faccio un torto, perché quando sembrava che avevi afferrato la sua figura, così da poterlo definire, lui ti proponeva una nuova versione di sé. Magari partiva dopo che avevi detto di lui che era sedentario, oppure gridava dopo che avevi detto che era silenzioso. Scombussolava l'ordine del paese; ma non faceva male a nessuno, era buono e tutti gli volevano bene. Ecco, se una cosa potevi dire di lui senza che ti smentisse era: è un uomo buono, aveva rispetto del mondo. (Mauro)

 

 

Opera del destino, la "forza del destino", chiamala un po' come vuoi, ma lo zio è sempre stato per me, per definizione, scapolo. Cioè, ad un certo punto, il fatto che fosse anarchico, che suonasse nel dancing palafitta, che fosse capace di sorprenderti ad ogni istante, era diventato un dato naturale, sintetico. Anche le sue balle, i suoi racconti di Parigi, dove non era mai stato, o almeno così credo io, era qualcosa di naturale. Facevano parte del suo e del mio stare al Mondo (Matteo)

 

Opera di Parigi, sì, ne parlava spesso, ma per me era arabo. Cos'era l'Opera di Parigi, un palazzo, un castello, un tendone? E Parigi? Cosa si faceva là dentro? Si canta, mi diceva zio faustino, dentro una sala con scenografie sontuose e un folto pubblico di tutti ricchi molto eleganti. Io immaginavo sedie d'oro e valletti in livrea e i cantanti con costumi sgargianti che si muovevano come papi - con quella solennità da sorriderne. Ma non sapevo dare un suono a quello spettacolo; era muto. Il rumore che faceva il dancing Palafitta lo conoscevo, una volta ero stato nascosto ad ascoltare. Sì, quei suoni si ripetevamo nella mia testa quando pensavo alla fisarmonica, come la muoveva e la miriade di note. Ma dell'opera di Parigi non avevo alcun suono. Lo zio provava a cantarmi qualcosa, ma niente. Se pensavo all'oro e ai brillanti dell'Opera nessun suono nasceva e mi sembrava non ci potesse essere nulla di più silenzioso al Mondo (mauro)

 

"Opera", e l'occhio tracimava in liquidità sognante, allo zio, "a Place de l'Opera l'ho incontrata la prima volta. Era perfetta, Cristina, minuta e dolce come un passerotto. E a volte terrifica, come esercito schierato in battaglia. Ti piantava in viso due occhi sgranati e creduli, e tu credevi pendesse dalle tue labbra; e un attimo dopo giù a riderti dietro perché eri goffo, perché la guardavi come un'icona su un altare, perché ti perdevi, dietro alle sue gonne a balze, divagando nei vicoli di Saint Germain. " - "Zio" , io lì a domandare ingenuo, "chi era lei? cosa ci faceva a Parigi". E lì iniziava il racconto: "Lavorava in una sartoria che forniva abiti di scena. Era figlia di italiani, ma nata a Parigi. Ogni tanto canticchiava qualche aria lirica, a volte riusciva a sgattaiolare anche lei, durante le prove in costume, dietro le quinte, e aveva mandato a memoria un bel po' di Puccini. Ma la sua passione erano le chansons. E che vocina aveva: l'avessi sentita, intonare "Rien de rien"! Io uscivo distratto da un negozio di fisarmoniche, a due passi dalla sartoria, e le ero quasi inciampato addosso, facendola cadere. Non solo la aiutai a rialzarsi, ma la condussi in un caffè perché si riprendesse dallo 'scossone'. E da allora divenimmo inseparabili, per un po' di tempo Cristina dagli occhi di velluto grigio fu tutto il mio mondo". (Francesca)

 

Opera di Parigi, già, se ne riempiva la bocca, però a quella storia di Cristina ci credevo un po' sì e un po' no, mi sembrava una storia fatta apposta per ipnotizzare, far sognare, e poi lei dov'era? Chiesi a zio faustino di farmi vedere una sua fotografia ma non ne aveva; Una lettera allora, no, nessuna lettera. Così presi a pensare che forse se l'era inventata quella donna ma che andava bene lo stesso, perché mi sentivo, quando mi raccontava la sua storia d'amore parigina, come quando vedevo passare Paola, in bicicletta. E. Tutto. Si. Fermava. Prendeva una sosta proprio come quando ci sono troppi punti in una scrittura e anche il respiro sta sospeso come le stelle. Che mi piacesse lo sapeva anche lei; le ragazzine s'accorgono di tutto, sembrano costruite come centri radar di intercettazione. Lo sono! Mi disse zio Faustino, le donne ascoltano le vibrazioni, percepiscono i sentimenti degli altri come io e te sentiamo l'acqua del fiume. Quando passava in bicicletta Paola mi guardava senza guardarmi, teneva la schiena e la testa dritte ma c'era a volte un lampo all'angolo degli occhi rivolti verso di me; si scurivano per l'arrivo fuggevole della pupilla che catturava una mia immagine e tutto si rivoltava nel mio Mondo (mauro)

 

"Opera del dimonio", diceva mia madre, quando passavano le ragazze con le prime minigonne. Lei era nata nell'Ottocento, ecco, sì. No, non veramente nell'Ottocento, che sua madre era davvero del secolo del melodramma, mia nonna era dell'Ottocentottantanove. Ma pensava come se fosse nata pure lei nell'Ottocento. Mia madre non lo sopportava proprio a zio Faustino: mai una volta che lo andasse ad ascoltare. Che poi, nel paese, lui anarchico, ormai passava pure per essere un mangiapreti, e mia madre si segnava quando lui, in casa, parlava di politica. Si faceva proprio il segno della croce, e a me sembrava che farsi il segno mentre mio zio parlava di politica era una cosa proprio da Ottocento. Io pensavo solo a Paola. C'erano giornate che, dopo averla vista passare, cercavo di rivederla nel ricordo, stringendo gli occhi, per fare buio e rivedere il momento nel quale quel lampo all'angolo dei suoi occhi era stato solo per me. Io rimanevo un secondo nell'angolo del suo occhio, e lei rimaneva per tutto il resto del giorno dentro ai miei. Li chiudevo, stretti, per ricordarmi quell'istante. Certe volte lo zio mi rideva in faccia: "E la tua Paola? Te la sei sognata anche stamani la Paola? Ma esisterà davvero questa Paola? E chi lo sa...." e si faceva una grossa risata, a mantice, e gli si allargava la pancia come il mantice della sua fisarmonica. Quando diceva così me ne sarei scappato di casa, dalla rabbia. Vagabondo, avrei tanto voluto vagabondare in giro, per il Mondo. (Matteo)

 

 

operaI di tutto il mondo ... (wos)

 

 

Opera sta lì, a sud di Milano, sede ufficiale di un carcere moderno, tra l'altro. Agli occhi pigri inurbati è un luogo di nulla, sporto oltre le tavole dello stradario, chissà se al di qua o al di là della tangenziale. Periferia per eccellenza, ghetto dei pensieri, stagno del linguaggio, palude del pregiudizio, inconoscibile altrove. Magari non è vero niente, ma chi ci andrebbe mai a verificare, chi vuoi che si muova fin là, chi si smuoverà mai. Eppure basterebbe poco: un concerto una partita un corso, tutta roba provinciale, locale, suburbana certo, ma sufficiente a spostare il baricentro dell'attenzione, come su una googlemap scala 1:1. Meglio ancora, ovviamente, una ragazza: una conosciuta a uno stage a una fiera a un campo estivo o in vacanza, in metrò in corriera al terminal o su un intercity, all'università in ufficio alle corse o all'uscita del cinema, una irresistibile e aliena, una che sembra provenire da non so dove, come dire da un nonluogo o magari da un altro mondo. (Zu)

 

Operai ci affiancavano, a volte, sulla strada che costeggiava il parco, lungo la quale si snodavano camminate e discorsi esistenziali. Lì andavamo, quando non a pesca. A volte mi raccontava, fissando i lavoratori che si recavano in fabbrica, delle banlieue di Milano, che pure aveva abitato, in un’altra vita sua (o forse in una sua fantasia alla Peter Pan dalla fisarmonica e la nostalgia facile), delle albe operaie e dei ghetti di periferia. Oppure delle serate nei locali, le donne agganciate fra le nebbie del fumo e gli scotch doppi, scambi serrati di battute e maneggi, notti volate a stordirsi di alcol e sveltine, e risvegli a bocca amara e odori ignoti, con solo la voglia di tornare alla musica e all’acqua. “Cristina”, sospirava Faustino fra un aneddoto e l’altro di matti ubriachi, umanità perdute, periferie nebbiose, “son stato anni a cercare di levarmela dalla testa.” Tornava spesso al suo romanzo parigino, non un segno di lei, ma foto e lettere stampate a fuoco nella sua memoria, quasi scrivesse e riscrivesse ogni volta la storia. “Sta’ attento a ‘sta Paola. Un attimo sei lì che credi di esser tutto il loro mondo, e l’attimo dopo .... Cristina veniva spesso a sentirmi suonare, nei locali del quartiere latino, lì a Parigi, lei diceva per tenermi d’occhio, ché altrimenti fra musica e voce sarebbero volate come mosche al miele, diceva. La guardavo guardarmi, l’occhio semivelato dal fumo della sua sigaretta. A volte si convinceva a cantare al ritmo della mia musica, a volte ballavamo annegati nel blues sino all’alba. Una sera si scatenò una rissa, per Cristina. Era favolosa, quella sera: i capelli biondo cenere raccolti con ciocche che le sfuggivano dalla nuca, un abitino fasciante in velluto grigio notte, orecchini lunghi a incorniciarle il viso morbido, e quei suoi occhi enormi … Aveva bevuto troppo, e rideva e cicalava col vicino di tavolo, un bruto, un tale Etienne. Vabbè, era bruno, occhi azzurri, un sorriso da satiro. E aveva soldi da spendere, e quanti, che non si sa bene da dove venissero. Ma un tale cafone, e debosciato. La provocava in modo sguaiato, ridendo ebete ad ogni battuta di lei. Io suonavo e digrignavo i denti. Quando lui le poggiò la mano sulla coscia lanciai all’aria la fisarmonica e volai dal palco ai tavolini, per mettergli le mani al collo. Lei, era lei, era mia, guai a quell’essere immondo”. (Francesca)

 

opera prima era stata la sua. non era ancora sicuro di aver avuto il successo pieno, era tutto sudato e con un senso di colpa, appena avvertito, arrivato non sapeva proprio da dove. tredici anni appena compiuti e diverse spedizioni con gli amici a riportare bottiglie vuote al giesse in cambio di qualche moneta da conservare per il compimento della missione. la conta rifatta cento volte per scegliere il condannato a diventare rosso davanti all'edicolante e a spendere il gruzzolo per tutti. dietro di sè aveva appena chiuso la porta del bagno col timore che qualuno l'avesse visto e comunque si era divertito un mondo. ( wos )

 

Opera... Opera... canticchiava ironico il mio amico del cuore, che era l'opposto con quel carattere sveglio, attento, mentre io ero un po' tonto, ingenuo. Lui sapeva un sacco di cose ma non me le diceva mai completamente; aveva il senso del segreto già da piccolo e voleva sempre avere l'ultima parola tanto che lo chiamavamo Zv, o Zu che era più comodo, come le ultime lettere dell'alfabeto. E canticchiava continuamente quella parola e sorrideva e allora io glielo chiesi cosa intendesse, minacciando di mandarlo a quel paese. Lui mi fissò serio e disse "Opera, ma non di Parigi, ecco dov'è stato tuo zio", sembrò pensarci un po', poi aggiunse, "Ah, è stato anche là, sì, ma quel che ha preso a Parigi l'ha portato a Opera, conosci? Vicino Milano. Posso anche dirti che c'è stato due anni e sette mesi, con la condizionale, ah ah. Ma ricorda, tuo zio è un uomo che sa il fatto suo, è passionale, e che quello che ha preso all'Opera di Parigi l'ha portato a Opera. Le donne sono pozzi di guai, quando ci si mettono". Non riuscii a cavargli nulla di più e le idee mi si mischiarono parecchio, però tutta la storia era diventata affascinante un Mondo. (Mauro)

 

Opera bene - aggiunse giocondo - e cambierai il mondo. 

Opera divina - disse poi Sigismondo - l’intero terrarum orbe che noi chiamiamo mondo, oppure diabolica, che se lo giri in largo e in tondo ti troverai allo stesso punto e sarà lo stesso quando sarai all’inizio oppure alla fine del tuo mondo. (aitan)

 

Opera divina, ah ah! Scoppiò a ridere zio Faustino, e aggiunse "ascolta, piccolo, se qualcuno ti dice che il mondo ha uno scopo, che tutto ha un senso non gli credere, sono stupidaggini", davanti alla mia faccia perplessa disse "lo ha scritto un filosofo che si chiamava Spinoza, beh, non proprio così, ma il senso era quello". Io pensavo che le cose non sono mai come sembrano, le cose sono come sono, e forse è la stessa cosa che voleva dire lui, e pensavo che mancavano le fotografie di Cristina, mancavano certi anni in cui parlare di Faustino era proibito da certe occhiatacce che mi lanciava mamma quando ancora era viva e quel che lo riguardava era sussurrato in certi angoli della casa dalle bocche delle donne grandi. Ma se anche fosse successo qualcosa di terribile a me non importava. Ero così felice di stare con lui sulla riva del fiume, di ascoltarlo mentre suonava la fisarmonica e sentire da lui certe storie su Parigi, su luoghi che forse non avrei mai visto, pieni di mistero, felice di vedere Paola che sfrecciava, che gli avrei perdonato tutto. E poi lui bada a me da quando mamma non c'è più - papà chissà dov'è adesso - e ha ricostruito per me il Mondo (Mauro)

 

 

"Opera come se Dio non esistesse". Forse è questo l'insegnamento più semplice che mi ha lasciato in eredità mio zio. Il Bene, il Male, cosa sono? Dimmi, dimmelo tu, zio. E queste voci disanimate, disincarnate che volano come coriandoli tutto intorno, di chi sono? Di chi sono questi ricordi, e questa stessa voce, la mia, che racconta me, e lui, e mia madre e Paola e Cristina? Sono io che ricordo mio zio Faustino che torna al mattino presto, nella nebbia, dal Dancing Palafitta, o è lui che sta ricordandosi di me, mentre è al volante della sua 128 sport blu scuro?  Qui, in questa storia, non c'è un Marco, né un Matteo, Polo per nessun Rustichello in ascolto paziente. Qui i confini, tutti i confini, sono sfumati: non c'è più, infatti, mondo e rappresentazione del Mondo. (Matteo)

 

Opera - mondo, era una parola baule - di quelle che ne contengono molte altre alcune belle altre brutte. C'è un'ultima volta, lo sai perché tu ci sei ancora e quello che c'era non c'è più; lo zio faustino fu l'ultima volta che lo vidi là al fiume. Una mattina vennero a cercarlo in dodici; poliziotti, senza trovarlo. Dicevano che fosse un sovversivo, ma tanti anni prima, pensavano avesse messo la testa a posto. Operamondo, come quelle password che aprono un'opera e un mondo insieme; la scrittura fa questi scherzi, pensi sia falsa, una carta velina e invece crea e induce. A credere. Il Dancing Palafitta forse lo vendono, non ci andava più nessuno. Così mi sono messo a raccogliere indizi; sulla vita dello zio, prima di tutto, e poi sulle persone che hanno un nome: Cristina, Paola. Paola ora è sposata con un altro; era troppo bella per me, o forse mi sono tirato indietro perché lei; oh, ci vediamo ancora. Cristina è un caso a parte perché zio qualche giorno prima di sparire mi lasciò una borsa piena di qualcosa, carte, immagino al tatto. Mi ha chiesto di aprirla solo quando avessi scoperto la combinazione della serratura. "Non la forzare, ecco tutto". Col passare degli anni mi sono convinto che dentro ci siano tutte le risposte, ma non ho fretta. Occorre essere preparati alla verità più probabile; perché lo zio faustino me lo ripeteva sempre che non ci sono verità assolute. Se ci fossero, mi diceva, noi non potremmo pensarle, perché prive di negazione possibile. Credevo di averlo capito quel giorno quando presi un pesce all'amo e quello si muoveva e tutto era muto, io non pensavo e guardavo le squame brillare al sole. Nulla avrebbe potuto convincermi del contrario: che non esistesse quella roba là davanti a me. Ma non era così, c'è sempre qualcosa di più o di meno al Mondo (Mauro)

 

Opera il Tempo al posto nostro, noi immobili, dimentichi, esausti, e lui saldo, instancabile. Qui cresce un'ortica squisita. Ci sono parole-ortica, che le devi bollire prima di assaggiarle. Anche qui: un campo di parole abbandonate, un testo da bollire, o già bollito, prima d'essere assaggiato. E certo che non è proprio come lo vorrei io, o come lo vorresti tu, questo Mondo. (M.)

Opera difficile, quella di aprire la borsa; ma alla fine, dopo aver provato date di nascita, ricorrenze, eventi storici, alla fine ci arrivai: era il giorno del fiume, della pesca, quando successe tutto insieme - allora non lo sapevo, ma tutto fu messo insieme quella mattina, come quando le mani raccolgono le palline disperse in terra prima che vadano perdute di nuovo. Sapevo che dentro la borsa c'erano parole urticanti, cose che mi avrebbero cambiato. Zio Faustino me l'aveva accennato che c'era qualcosa su mio padre, mia madre, su di lui e su quella donna francese, Cristina. Non m'aspettavo nulla su Paola, almeno, perché lei la vedo, tutti i giorni, passare in automobile con i bambini verso la scuola; ancora mi sembra incredibile che lei abbia una vita priva di me. Là dentro c'erano parole che mi avrebbero gonfiato le mani, bruciato le labbra, o forse il tempo le aveva bollite davvero e mi avrebbero fatto più bene che male, parole che ne contenevano altre, tanto pesanti. Tutto dipendeva dunque da me. So solo che quando la serratura ormai arrugginita si aprì con uno scatto mi sentii come Colombo davanti al Nuovo Mondo (Mauro)

 

 

Opera o pera? Ei pera! Direbbe l'Alfieri, citato dal Maestro. Dorme un teatro, scolpito al centro di un'agricola contrada...tanto qui nessuno si dispera....ei pera! Così, tiro io un sipario, e apro un Capitolo Secondo su questo gran teatro che è il...Mondo. (Matteo)

Comments (1)

Anonymous said

at 10:04 am on Apr 4, 2008

Il progetto è in sonno...

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